8. Il capolavoro artistico dell'altare

L’altare è il centro eucaristico di ogni Chiesa. Lì Gesù, vivo e presente nella fede, si fa pane per noi. Come il pellicano (intarsiato sul tabernacolo) che nutre i suoi piccoli dalla tasca addominale di cui la natura l'ha fornito. Sull’ambone è proclamata la sua Parola di vita; nell'ostia consacrata possiamo pensarlo vicino, adorarlo e ringraziarlo. In ginocchio, in segno di riverenza o affidamento; in piedi in segno di considerazione e rispetto; o seduti, per lasciarsi avvolgere dal calore del suo sole, illuminare dalla luce della sua sapienza, curare dalla sua forza che ci salva.

Tra storia ed arte

Una balaustra circolare in legno delimita il presbiterio sopraelevato. Al centro l’altare maggiore, formato da 4 sezioni: la base anteriore e la parte posteriore (utilizzata come ricovero dei paramenti sacri e del corredo ecclesiastico) realizzate con arredi preesistenti nella parrocchia del XVII e XVIII secolo; le ali laterali di giunzione e l’alzata dell’altare, vero e proprio capolavoro di ebanisteria piemontese del XVIII secolo.

Quest’ultima ha una struttura portante di noce su cui si inseriscono tre gradini d’altare, smontabili, costituiti da masselli in legno di noce o noce e quercia incollati tra loro con colla di origine animale per permettere la realizzazione della curvatura sulla quale è applicata la lastronatura dell’intarsio.

Il gradino più in basso è costituito da un unico fronte continuo, mentre gli altri due sono divisi dal tabernacolo, arricchito da un piccolo fregio dorato a frontone spezzato. Al di sopra dei gradini, si trova un primo ordine di balaustrini dorati, interrotti da pilastrini intarsiati, ai lati dei quali ci sono due alette decorative anch’essere intarsiate.

Otto colonne lastronate in avorio e legni pregiati, con la base ed i capitelli compositi dorati con foglia metallica sostengono una fascia architravata, sulla quale poggia un secondo ordine di balaustrini simile al primo: nello spazio tra le quattro colonne più interne, tamponando l’intercolumnio posteriore e quelli laterali con antine vetrate, è stata ricavata una sorta di teca nella quale trova posto la statua della Madonna Nera.

Appoggiato alla fascia architravata, contenuto in questa seconda balaustra, si trova un cupolino intarsiato, che termina con una sfera dorata sulla quale si erge una croce in avorio ed ebano. Per l’intarsio, l’autore è ricorso all’uso di avorio e legni pregiati, quali ebano e palissandro.

Nel ricco repertorio decorativo costituito da fogliame replicato in diverse varianti e da riserve con vasi, cesti e cornucopie traboccanti di fiori, bisogna segnalare in particolare la porticina del tabernacolo, dove spicca un Pellicano Eucaristico di qualità particolarmente elevata, sulla testa del quale viene posta una corona regale da due putti alati.

Proprio questo indizio ha fatto pensare a un altare commissionato dalla famiglia reale piemontese, probabilmente per la Cappella del Beato Amedeo IX di Savoia nella Cattedrale di Sant’Eusebio a Vercelli nel 1723 all’ebanista Luigi Prinotto, su suggerimento di Filippo Juvarra. Gli elementi di gusto tardo seicentesco non in linea con le idee del famoso architetto potrebbero essere la ragione della bocciatura, per cui l’alzata d’altare è depositata provvisoriamente presso la cappella regia di Venaria; nel 1725 viene donata da Vittorio Amedeo II al proprio Credenziere e Aiutante di Camera Giovanni Anselmo Cavalleri, che proprio in quell’anno aveva acquistato il feudo di Groscavallo. Nonostante la probabile intenzione di usarlo nella chiesa di Santa Maria Maddalena, rimane per anni smontato nella cappella di Santa Lucia. Le prime notizie che ne attestano la presenza nel santuario sono del 1843.

La costruzione dell’ossatura del mobile, i materiali impiegati e la fattura dell’intarsio permettono di circoscrivere con certezza l’ambito di provenienza dell’arredo e la mano di Prinotto, unanimemente considerato il secondo ebanista della storia piemontese dopo Pietro Piffetti. La qualità della bulinatura è qui però spesso superiore alla media prinottiana, salvo alcune escursioni qualitative ai fianchi del cupolino, probabilmente eseguite dai lavoranti della bottega artigiana. Si può a ragione parlare di un capolavoro dell’ebanista.

L’altare, definito giornalisticamente «il tesoro della Val Grande», è stato restaurato dal Centro di Conservazione e Restauro della Venaria Reale, il cui laboratorio di arredi lignei è leader mondiale, nel 2018.

Alzata dell'altare


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